Wetlands, la casa editrice sostenibile. Da Venezia al mondo | Sapere Ambiente 29.09.22
Un nuovo progetto culturale, nato dall’incontro fra persone impegnate a diverso titolo nella rigenerazione urbana, si propone come piattaforma di discussione su tematiche civiche e ambientali. Nella città in cui locale e globale s’incontrano e le sfide della sostenibilità sono più evidenti

di Ginevra Amadio

Le terre umide sono zone di confine, che affiorano in superficie. Permanenti o temporanee, hanno un carattere fertile, una potenzialità generativa che deriva dalla compresenza di terreno e acqua, come se tale ibridismo nascondesse, al fondo, l’essenza della natura stessa. È questo richiamo metaforico e materico ad aver ispirato il nome della casa editrice wetlands, realtà vivace ed ecosostenibile, ideata, fondata e radicata a Venezia. Della città d’acqua, scrigno di tradizione e rinnovamento, condivide lo spirito tenace, un’eleganza di forma che investe il piano sostanziale restituendo l’idea di un progetto vivo, osservatorio privilegiato sui problemi dell’oggi.

Dalla Laguna al mondo, dunque, per mostrare – tra le altre cose – come l’urgenza climatica si articoli in molteplici rivoli di motivi, intersecando il piano sociale, urbanistico, comunitario.

Abbiamo incontrato Luca Cosentino, co-fondatore di wetlands, ed Elena Scarpa, media relations manager, ai tavoli di un bar in Campo Santa Margherita, nel sestiere di Dorsoduro.

Come e quando nasce il progetto wetlands?
Luca: L’idea è nata poco più di un anno fa, quando una quindicina di persone, tutte veneziane, hanno manifestato la volontà di dar vita a progetti culturali e civici di rigenerazione urbana. Il gruppo di ReActiVe, piuttosto variegato, si compone di professori universitari, architetti, giornalisti, avvocati, manager, librai, accomunati dal desiderio di ragionare attorno a Venezia, ai suoi mutamenti e alle sue potenzialità. Abbiamo avuto una serie di riunioni preliminari prima di decidere che la strada migliore per diffondere tali idee fosse la creazione di una casa editrice.

Così nasce wetlands, letteralmente “terre umide”, che ha da subito assorbito le nostre energie in termini di definizione del piano editoriale.

Volevamo dare un’impronta specifica, trovare qualcosa che desse corpo alle nostre idee, alla nostra sensibilità. In tempi molto rapidi siamo riusciti a identificare un certo numero di autori, a contattarli, a lavorare sui libri e darli alle stampe. I primi volumi sono andati in libreria a maggio, dopo dieci mesi dalla fondazione della casa editrice che per noi è anzitutto un luogo di incontro, una piattaforma per proporre temi di natura sociale, culturale, civica legati alla città di Venezia. Ma non solo.

La componente territoriale si riflette non solo nel catalogo ma nell’idea di assumere Venezia come grande osservatorio. La sua natura proteiforme, fatta di bellezza e contraddizioni, l’essere cerniera di raccordo tra l’Europa e l’Oriente la rende un laboratorio di riflessione e sperimentazione globale.
Luca: Venezia è uno specchio anticipatore del mondo. Una città in cui il locale e il globale si incontrano, si mischiano, e ne nasce qualcosa di straordinario, difficilmente definibile. Contrariamente alla narrazione che la vuole ferma, come un gioiello intoccabile, Venezia è sempre in movimento, spesso “sotto assedio”, ed è davvero un laboratorio di indagine. Basti pensare al rapporto tra comunità e ambiente, al problema dell’iperturismo, della sostenibilità.

I primi volumi si confrontano con questi temi da varie angolazioni. Si tratta di ripubblicazioni e di testi originali: come è avvenuta la scelta? 
Luca: “Dittico idraulico” è stato scritto per noi da Frank Westerman. “Contro Venezia” di Régis Debray è invece la riproposta di un testo uscito per la prima volta nel 1995. Abbiamo scelto di ritradurlo, di farlo precedere da una nuova introduzione dello stesso Debray e dal testo di un poeta napoletano che vive a Venezia, Gianni Montieri. Nel testo originale, l’autore confronta la nostra città con Napoli, puntando l’attenzione sulle opposizioni: a Venezia troviamo le chiese, nel capoluogo campano la religione; a Napoli c’è la vita, Venezia si lega alla morte. Noi volevamo controbilanciare questa visione, così ci siamo rivolti a un poeta che ha scelto di vivere in Laguna allontanandosi dalla sua Napoli.

Il terzo libro, “Il giocattolo del mondo” di Robert C. Davis, è infine il più ambizioso. Pubblicato per la prima volta in America nel 2004 con il titolo Venice, The Tourist Maze, non era stato mai tradotto in italiano. Abbiamo voluto aggiornarlo ricontattando gli autori originali (Robert Davis e Garry R. Marvin – NdR), che hanno lavorato con noi per sei mesi in maniera incessante, rideclinando il tema del turismo alla luce delle nuove problematiche, da Airbnb alle Grandi Navi. Di fatto si tratta di un libro nuovo, che abbiamo ricreato e tradotto insieme a loro. Quella di cercare testi già pubblicati, da aggiornare o ripensare, è stata una scelta mirata, che rende bene il senso del nostro progetto.

Anche per mostrare come Venezia, nella sua bellezza immortale, sia comunque una città in movimento. Immagino che anche questo vi abbia spinto a porla al centro.
Elena: Venezia cambia sempre. Ed è una porta sul mondo per tale ragione, perché in una città come questa, con tutte le sue fragilità, certe problematiche appaiono amplificate e più chiare. Venezia è una lente di ingrandimento, permette di osservare al millimetro ciò che accade anche nel resto del mondo. Pensiamo ancora al turismo, alla fuga dei residenti che affligge anche Firenze, il centro di Roma, di Parigi.

Wetlands è un progetto carbon neutral e a filiera locale, attento alla sostenibilità ambientale e sociale. Vi va di parlarne?
Luca: A Venezia il tema della sostenibilità è centrale. La sola storia del Mose è sufficiente a capire quanto la fragilità dell’ambiente sia un’urgenza da affrontare nel modo giusto. Nelle prossime uscite dedicheremo molta attenzione al motivo ambientale e a come questa città deve e dovrà vivere in relazione a un clima – e a un mondo – in rapido cambiamento. A settembre è prevista l’uscita di un libro che si intitola “L’arcipelago delle api” che racconta la storia di questi animali e degli apicoltori in Laguna. Una storia interessante e che si scontra continuamente con il dramma dei cambiamenti climatici, con la sparizione delle barene, con la fioritura anticipata di tanti fiori. Un testo sì sull’apicoltura, ma che in realtà racconta tante storie attuali, di ampio respiro.

Quanto ai generi, avete scelto di porvi in un territorio di confine: né narrativa, né saggistica accademica.
Luca: Il nostro desiderio è quello di raccontare storie che possano essere ascoltate e raccolte, senza però banalizzarle. Molto spesso, quando si parla di divulgazione, si tende a semplificare, a schiacciare forma e contenuto verso il basso. La nostra ambizione è quella di sperimentare una narrazione alta e sofisticata che sia al tempo stesso accessibile a tutti. Un nuovo modo di raccontare temi importanti, che sia in grado di raggiungere un pubblico più ampio.

Oggi c’è un po’ la “sindrome del catastrofismo”, una tendenza a prospettare scenari apocalittici di cui è bene avere contezza ma che, a lungo andare, generano ansia e preoccupazione. Meglio sarebbe trovare una nuova formula, uno schema narrativo che consenta di affrontare tali temi in modo costruttivo.

Elena: Io credo che, in questa prospettiva, “Il giocattolo del mondo” sia l’esempio perfetto. Tratta temi complessi che possono essere letti e compresi da tutti, anche in assenza di un background specifico. È importante perimetrare l’ambito di approfondimento e capire come declinarlo, senza cadere in facili semplificazioni che oggi, soprattutto sul versante green, appaiono molto in voga.

La casa editrice è attenta anche alla cura dell’oggetto-libro. La grafica dei volumi è bella e particolare.
Luca: Abbiamo voluto puntare sulla qualità non solo contenutistica ma anche grafico-estetica. Desideravamo che il lettore potesse trovare, a partire dalla copertina, un marchio identitario, qualcosa che lo inducesse a dire: “Questi sono i libri di wetlands”. Abbiamo scelto di utilizzare per le copertine l’alga carta, molto porosa al tatto. I volumi poi sono rilegati, e curati all’interno.
Elena: Li stampiamo qui, nell’unica tipografia rimasta a Venezia. È stato bello seguire tutto il processo produttivo, veder nascere le copertine, osservare la macchina che assemblava le pagine. Oggi è facile stampare ma non è semplice stampare bene. Noi abbiamo seguito tutto, passo passo. Nessuno ci ha consegnato un prodotto finito, quasi preconfezionato. È un’attenzione nei confronti del lettore e della cultura in generale, oltre che un atto di stima per Grafiche Veneziane.

 Il vostro è dunque un rapporto a tutto tondo con la città.

Luca: Sì, a partire dai nostri libri che sono a “chilometro zero”. Ci costa di più, ovviamente, ma per noi è necessario ai fini della costruzione di reti, di relazioni generative. Grafiche Veneziane è l’ultima stamperia rimasta in città, ed è fondamentale sostenerla. Abbiamo un rapporto strettissimo di collaborazione con loro, sono bravissimi e felici di occuparsi dei nostri volumi. Si è così creato un microsistema editoriale veneziano, del quale siamo molto orgogliosi. Anche con le librerie c’è un relazione importante; è il caso, ad esempio, della Marco Polo in Campo Santa Margherita, che è peraltro tra i soci di wetlands. Ma i nostri rapporti si intrecciano con tante realtà veneziane, proprio a indicare il forte attaccamento alla città, il bisogno di creare reti, di tornare agli incontri.

Dove avete organizzato presentazioni dei vostri titoli?
Elena: Con Frank Westerman siamo stati al Festival Incroci di Civiltà, organizzato dall’Università Ca’ Foscari lo scorso 27 maggio. Sempre con lui a pordenonelegge. Il 31 agosto abbiamo inoltre partecipato a un evento collaterale della mostra Canaletto’s Venice Revisited per presentare il nostro libro Venezia e l’Antropocene – Una guida ecocritica, che uscirà in ottobre sia in italiano che in inglese. Un libro molto originale, un modo per visitare la città oltre i monumenti, oltre le sue bellezze, per cercare di capire gli impatti dell’Antropocene su di essa. Una guida immateriale, dunque, scritta da una trentina di accademici provenienti da tutto il mondo. Lo presenteremo anche a Londra e a Berlino, e sarà un modo per far conoscere il respiro internazionale delle nostre pubblicazioni.