Una «Venezia africana», il cuore nero dell’Europa | Il Manifesto 23.07.24
Il nuovo volume di Paul Kaplan e Shaul Bassi è una guida sui generis che mescola saggi, passi poetici e meditazioni culturali in dieci itinerari tra i sestieri e le calli veneziane.

di Francesca Giommi

«Venezia, Venezia, Venezia/ hai rubato il cuore a scrittori di molti paesi/ che ci hanno donato grande letteratura./ Shakespeare ha scritto Il mercante di Venezia e/ la storia di Otello l’eroe nero della Venezia antica./ Thomas Mann il tedesco si è sognato La morte a Venezia./ Da Henry James fino a Italo Calvino, quante storie ci hanno raccontato./ E così anche io, Ngugi, ne tesserò una in Gikuyu/ per ricordare al mondo che Venezia fu costruita anche con il sudore africano proprio come altre città europee». Così Ngugi Wa Thiong’o, che nel seminale Decolonizzare la mente si è espresso con veemenza contro i danni del colonialismo europeo in Africa invocando un ritorno alle culture native attraverso il potente mezzo della lingua madre, esprime nel componimento poetico La Serenissima la possibilità anche per gli scrittori del suo continente di appropriarsi artisticamente della città lagunare, alla luce di secoli di scambi ininterrotti, peregrinazioni e contaminazioni.

DAL MEDIOEVO A OGGI, la presenza nera a Venezia si è fatta via via più tangibile, imprimendosi nelle architetture e nell’assetto sociale e culturale delle città, e offrendo in tempi recenti identificazioni interculturali, reinterpretazioni stranianti e rivitalizzanti al tempo stesso, capaci di scuotere coscienze e decostruire stereotipi, come l’installazione di Fred Wilson Speak of Me as I Am alla Biennale del 2003 o il breve saggio di Caryl Phillips Nel ghetto.

A questa pervasiva presenza è dedicata Venezia africana. Arte, cultura, persone (di Paul Kaplan e Shaul Bassi – cofondatore del festival letterario internazionale «Incroci di civiltà» –, prefazione di Igiaba Scego, postfazione di Maaza Mengiste, wetlands books, pp. 271, euro 22), prima guida sui generis che mescolando saggi, passi poetici e meditazioni culturali declina in dieci itinerari tra i sestieri e le calli gli echi di Otello – prototipo dell’outsider insider – e la dolorosa eredità della schiavitù e del colonialismo, critica l’esotismo e l’oggettivazione della neritudine e ribadisce la centralità del corpo nero in Europa, ricordando come già l’impero bizantino fosse multietnico e poliglotta.

DA DIPINTI E SCULTURE ANTICHE alle installazioni e gallerie d’arte contemporanee, dalla pittura di Tintoretto, Gentile Bellini e Paolo Veronese (testimoni di una presenza nera schiavile dal Rinascimento) alle rotte commerciali (prima tra tutte quella per Alessandria d’Egitto, in cui San Marco trovò il martirio) e le confraternite di neri africani, fino alle voci postcoloniali degli stessi Ngugi, Phillips, Wilson e Soyinka, il testo rivela una pluralità di presenze «altre», per lo più sottaciute, tipizzate o marginalizzate, ma finalmente al centro di progetti come il workshop culturale-politico Afropean Bridges e l’Akka Project, spazio interamente dedicato ad artisti africani emergenti ed autodidatti significativamente collocato davanti alle Gallerie dell’Accademia (in analogia a quanto il progetto editoriale afterwords fa muovendosi tra residenze creative di autori innovativi afrodiscendenti, nuove prospettive saggistiche e narrazioni ibride che si intrecciano con la città e l’immaginario di Venezia).

«A Venezia le storie si ripiegano l’una sull’altra, le geografie collassano», dice Maaza Mengiste in chiusura del volume «È possibile attraversarla da africani e riconoscersi in forme vecchie e nuove, come se i confini che mantengono inalterato il tempo non esistessero».

William Mulready, «Othello», seconda metà dell'800
William Mulready, «Othello», seconda metà dell'800