Un diario di bordo, un’indagine auto-etnografica, ma anche una nuova direzione per la letteratura, ovvero un genere ibrido in cui, come dice il sociologo Bruno Latour, « non si tratta di un io che si adatta al mondo sociale, ma di un io che non sa più cosa farsene di un mondo naturale che lo consuma». Questo è Mal di terra (wetlands books, 96 pagine, 16 euro) di Nikolaj Schultz, sociologo dell’Università di Copenhagen, ospite dopodomani, alle 12, di “Incroci di civiltà” per raccontare il suo viaggio attraverso l’antropocene, dove letteratura e analisi teorica si mescolano e la condizione climatica viene indagata sulla base di un racconto che va da Parigi a Porquerolles, dall’ondata di calore alla scomparsa di un’isola, dalla lotta per il sonno a quella per il territorio. Dice Slavoj Žižek che «se c’è un libro che può mobilitarci per affrontare l’emergenza ecologica, questo è Mal di Terra ». È a partire da questi presupposti che abbiamo intervistato Schultz, per capire con lui come sta cambiando il modo in cui descriviamo il cambiamento climatico. « Ho cercato – spiega l’autore – di trovare un modo più personale di scrivere di queste cose, e lo stile si colloca a metà tra il letterario e il teorico o accademico. Perché? Perché abbiamo bisogno di descrivere questi effetti così come si sentono, come si vivono, quando il mondo si sta semplicemente restringendo e la Terra trema sotto i piedi. Come direbbe Emanuele Coccia (che ha scritto la prefazione, ndr), viviamo in una crisi di sensibilità, e questo costringe gli scienziati sociali non solo a trovare nuove risorse analitiche, ma anche nuovi modi di scrivere e di raccontare, che possano aiutare a far emergere i registri emotivi necessari all’azione. Ursula Le Guin ha detto che abbiamo bisogno sia della curiosità della scienza che del rischio dell’estetica e credo che abbia ragione, da qui lo stile ibrido tra concettuale e affettivo». Il libro parte da una riflessione che spesso si tende a dare per scontata: un tempo le isole racchiudevano l’idea stessa di fuga, ora sono tra i primi luoghi a subire gli effetti del cambiamento climatico. « L’effetto che ha a livello esistenziale e psicologico – dice Schultz – è nauseante, ed è da qui che ho tratto il titolo: una metafora nautica».