di Alessandro Marzo Magno
Murano, esterno giorno, 27 gennaio 1511: un fitto lancio di palle di neve accoglie l'arrivo del nuovo rettore veneziano, Michele Vitturi. Da questo episodio in apparenza minore, in qualche modo folcloristico e divertente, Claire Judde de Larivière, docente di storia all'università di Tolosa II-Le Mirail, ha ricavato un libro interessantissimo. La rivolta delle palle di neve. 1511 Murano contro Venezia, uscito anni fa in francese e ora tradotto in italiano da Wetlands Books.
La storia è minimale, come detto, ma l'autrice allarga lo sguardo in modo che, partendo da un singolo episodio, si ottenga una visione d'insieme su cosa fosse la Murano di inizio Cinquecento e su come i veneziani si regolassero nei rapporti con le città suddite. Già perché Murano, oggi dal punto di vista amministrativo frazione del Comune di Venezia, al tempo era un'entità a sé stante e lo è rimasta fino a quando 30 dicembre 1923 è stata aggregata a Venezia per creare una di quelle grandi città che tanto piacevano al regime fascista (e Judde de Larivière aggiunge anche un'appendice dove illustra i malcontenti e gli incidenti che ci furono quando Murano cessò di essere Comune). Murano, quindi, come tutte le altre città suddite dalla Dominante, era amministrata da un rettore patrizio, nominato dal Maggior consiglio. In quel gennaio 1511 a Giacomo Surian subentra Vitale Vitturi. Murano però non era un reggimento (questa è la parola che si trova nei documenti) come tutti gli altri: era vicino a Venezia, il rettore poteva andare e venire da casa sua (accadeva anche con Mestre e Malamocco), c'erano le vetrerie con la relativa forte presenza di artigiani e l'orgogliosa affermazione del proprio ruolo da parte dei maestri vetrai.
Murano quindi era altro, era un'entità a sé con proprie peculiari caratteristiche.
I PROCESSI
Claire Judde de Larivière racconta di essersi imbattuta in questa storia un po' per caso come spesso accade studiando i processi conservati nel fondo dell'Avogaria de comun nell'Archivio di stato dei Frari. «La storia mi interessava e ho approfondito il caso per presentarlo a un convegno di ricerca. Poi ho cominciato a redigere un articolo, che diventava sempre più lungo, quindi ho deciso di scrivere un libro. Posso dire che è stato l'azzardo a portarmi a Murano. Ho esplorato i fondi d'archivi sull'isola, e ho trovato tantissime informazioni interessanti, che nutrivano le mie ricerche, che erano più generalmente dedicate alla gente comune della laguna di Venezia, ai popolani, al loro ruolo sociale e politico tra Quattro e Cinquecento. L'isola di Murano si è rivelata un caso affascinante perché ci sono tantissimi documenti prodotti dalle istituzioni stesse dell'isola, dagli abitanti, dai vetrai, dalle confraternite. In un certo senso più che a Venezia, dove i documenti sono soprattutto di fonte patrizia. Quindi diventava molto interessante vedere come questa comunità si governasse, come gli abitanti organizzassero le loro strutture politiche, economiche, sociali. Andando a Murano, e incontrando specialisti della storia dell'isola, ho anche preso la misura di realtà lavorative, geografiche, sociali che venivano ad arricchire la mia ricerca. Murano si è rivelata un bellissimo modo di capire la vita quotidiana in laguna durante il Rinascimento».
Quella del gennaio 1511 è una rivolta della popolazione locale contro il governo di Venezia, ma viene espressa in modo strano, incruento, nessuno si fa male con le palle di neve, tirate soprattutto da un gruppo di bambini che sale in cima al campanile. Molti urlano: «Surian, Surian, caza via el can che ha ruinado Muran». Ciò permetterà, nel corso del processo ai capi, di declassare la protesta a manifestazione carnevalesca e di sgonfiarla con grande soddisfazione di tutti: della Signoria che disinnesca una situazione potenzialmente eversiva, e dei muranesi coinvolti, che anziché essere accusati di sedizione contro lo Stato, con il rischio di pene gravissime, si vedono invece puniti per una specie di ragazzata. «Se quella che ho chiamato la rivolta delle palle di neve», osserva l'autrice del libro, «mi ha così coinvolta, è anche perché mi permetteva di discutere la famosa assenza di rivolta popolare a Venezia. Fa parte del mito della Serenissima: città dove per un millennio non ci sono quasi state rivolte popolari o sedizioni nobiliari. Considerando quest'azione politica poco violenta, mi ha obbligato a verificare le azioni politiche popolari a Venezia. Quindi questo micro evento, non particolarmente importante nella storia politica generale di Venezia, è diventato un punto di partenza per interrogarsi su come agivano politicamente i popolani che sono stati spesso considerati soltanto come pubblico (passivo o attivo) della politica patrizia. Dietro ai fatti del 27 gennaio 1511, si percepiscono tante forme d'azione politica, di governo della comunità, di ricerca del consenso, di modi di votare e di estrarre a sorte, di dibattiti sulla gestione dell'isola e della comunità».
GLI INQUISITORI
In effetti quello della mancanza di rivolte popolari e delle relativamente poche congiure patrizie (alla fine quelle che si ricordano sono soprattutto due: i Tiepolo-Querini nel 1310 e Marin Falier nel 1355) è uno dei miti persistenti della storia veneziana. Come tutti i miti ha una base di verità: non avvenne mai niente di paragonabile al tumulto dei Ciompi di Firenze, nell'estate 1378. Ma non è nemmeno vero che non ci siano mai state rivolte e si sta cominciando a studiarle. Osserva Davide Busato, uno degli storici che segue questo filone di studi: «Al Settecento risalgono i numerosi processi sopravvissuti nel fondo degli inquisitori di stato inerenti il reato di sedizione: Cefalonia (1760), Enego-Bassano (1779), Albona (1781), Vicenza (1782), Pellestrina-Venezia (1782), Isola d'Istria (1787), Arsiero (1788), Traù (1788), Pago (1788). Queste sono alcune delle località che videro l'intervento degli inquisitori, in particolare il territorio di Vicenza fu coinvolto dal 1782 al 1788 in diverse sommosse, spesso aventi per oggetto le misere condizioni economiche. Alcune rivolte del ceto popolare misero addirittura in discussione il Senato: la prima nel 1752-54 dei caffettieri di Padova che non rispettarono le norme stabilite sul monopolio del caffè. La seconda, ancora più grave, dal 1775 al 1780-82, quando i pistori (panettieri) insorsero contro le decisioni del Senato sul prezzo delle farine. In questo caso la questione fu rimessa al Consiglio di dieci e da questo agli inquisitori».