di Silvia Cannarsa
Bello il progetto della piccola casa editrice Wetlands che si è presa cura di Ultime isole di Paolo Barbaro, una raccolta di racconti edita per la prima volta nel 1992 da Marsilio.
Dalle delicate scelte grafiche in copertina, eleganti e di impatto fino al prodotto concluso. Le terre umide di cui ci racconta Ultime isole sono proprio le stesse su cui la casa editrice ha costruito le sue fondamenta: Venezia.
Perché wetlands è un progetto editoriale (e un’impresa sociale no-profit) con un’idea forte alla base, i libri sono realizzati su carta eco-sostenibile, in loco, e i temi trattati hanno un legame pressochè totale alla sostenibilità ambientale e sociale. L’idea è quella di essere il più possibile radicati al territorio, e sembra un gioco di parole, e invece è proprio una scelta di campo, che quel territorio sia scivoloso, cedevole e minacciato dalle acque.
Lo scritto che introduce i racconti di Ultime isole è di Tiziano Scarpa, che sottolinea subito la nota che Barbaro usa per concludere il volume “Fatti, luoghi e persone sono tutti veri e riconoscibili”, e questo non può che farci sorridere.
Perché le ultime isole di Paolo Barbaro sono solo brevi tratti di terra emersa dalla nebbia, più che dal mare. Sono lembi di spiagge circondati da una bruma fitta, misteriosa. Sono miraggi e incubi, realtà traballanti di cui non ci si può fidare.
Sono polvere e materia impalpabile, onirica, abitate da esseri umani ambigui, alieni al mondo a cui siamo abituati, anfibi.
E onirica è anche la narrazione, nonostante ci siano solidi Grandi Imprese e Presidenti (scritto proprio così, in maiuscolo), Guardie e Genio, e Sindaci, nessuno di loro ha un nome e anche se lo avessero non ci interesserebbe. Sono figure di potere, a volte riferimenti puramente burocratici, di cui non si vede il volto, come statue altissime.
Barbaro segue partenze e ritorni dei suoi protegonisti, ci guida all’interno di una realtà a cui i personaggi sono avvezzi, mentre il lettore cerca di orientarsi in una gincana di Terraferma e Terramobile, di Settesabbie, di Laguna viva e Laguna morta senza sapere davvero dove sta andando. Ci proietta in una dimensione surreale in cui è impossibile scindere la verità dall’immaginazione, la storia dalle storie, i luoghi reali da quelli inventati. Sono i luoghi a essere inventati o solo i nomi? Sono i nomi a essere veri mentre i luoghi inventati? Impossibile capirlo: quasi ci viene voglia di cercare sulle Mappe, per poi scoprire che forse non esistono, che è tutto frutto di un racconto, e riemergere così da questo sogno, pagina dopo pagina.
Quindi meglio evitare, meglio rimanere fino alla fine in questo dubbio dolceamaro di una Venezia magica e rarefatta, opaca e liquida, cangiante e talvolta ombrosa.